Ce li descrivono come apportatori di benefici: rimedio
antistress, cibo bio a km zero, luoghi di socialità e ostacolo alla
speculazione edilizia, eppure per molti urbanisti sono un segnale di
inesorabile declino
Durante questa estate 2014 mai iniziata, complice papà che
voleva insegnarmi i segreti della coltivazione di pomodori ciliegini e
zucchine, ma soprattutto del suo chiodo fisso di pensionato orticoltore: i
cocomeri, mi sono entusiasticamente lanciata nella moda del momento: l’orto.
La coltivazione
dell’orto, da snobbato passatempo lasciato agli “umarell” si è trasformato
nel giro di tre anni in un must trendy, icona
ormai di un certo life style cittadino. L’evoluzione modaiola di zappa e
vanga si deve come sempre alla first lady delle first ladies; lei… sempre lei,
Michelle Obama, che da quando ha iniziato a coltivare rapanelli alla Casa
Bianca, è riuscita a convertire le chicchissime dame dell’alta società alla
causa bio, forse speranzose di ottenere con carote e cavolfiori le stesse
braccia toniche sfoggiate da Lady Obama nei suoi vivacissimi tubini fucsia.
Gli orti urbani sono
quindi triplicati e parecchie
municipalità offrono ai privati piccoli appezzamenti di terreno o aree
abbandonate a patto che venga versato un piccolo canone annuale ed il terreno
venga pulito e coltivato. Gli orti urbani non riusciranno sicuramente a
sollevare le disastrate casse di molti Comuni, ormai quasi più rosse di un
sanmarzano, ma possono essere una
soluzione alternativa per abbattere i costi di gestione del verde urbano,
recuperando alcune zone abbandonate e trasformandole in luoghi di incontro, in
piazze sociali finalmente reali e non virtuali.
I vantaggi sono
numerosi, oltre a scambiare quattro chiacchiere, gli appassionati degli
ortaggi della prima e dell’ultima ora ne guadagnano in salute, trovandosi anche
le tasche del portafoglio più pesanti.
Il contatto con la natura e la terra ricarica la mente: i ricercatori del Sage
College di New York hanno confermato che i campi fertilizzati in modo
naturale sono ricchi di micro-organismi che trasportati dall’aria ed inalati
fanno aumentare il senso di benessere. Con parole ancora più semplici, se
durante una scampagnata il vostro aristocratico naso cittadino viene colpito in
pieno da una zaffatta di “odori” poco gradevoli, sappiate che nel giro di poco
tempo siete destinati ad ammalarvi… di felicità, in quanto la risposta
immunitaria innescata nel vostro fisico dal Mycobacterium vaccae, induce i neuroni della corteccia prefrontale a
liberare grandi quantità di serotonina, di conseguenza il vostro umore
migliorerà; benessere destinato ad aumentare grazie anche al senso della vista:
la vista dei soldi risparmiati a fine mese e non lasciati ai supermercati bio,
in quanto grazie al vostro fazzoletto di
terra siete voi stessi diventati produttori di frutta e verdura a km zero!
E la forma fisica? Sudare su manubri e cyclette in asettiche
palestre al chiuso intristisce, vuoi mettere invece allenare i bicipiti
diventando per un giorno bracciante al
servizio di Sting? Il cantante ha deciso di offrire agli ospiti della sua
tenuta in Toscana, l’azienda agricola“Il Palagio”, vicino a Firenze, la possibilità di zappare, raccogliere le
olive e vendemmiare. L’esperienza ha inizio con un pic nic nei campi (così si
respirano i batteri della felicità), dopo di che i responsabili della tenuta
consegnano un cestino vuoto con tanto di istruzioni per riempirlo con olive o
grappoli, al termine della dura giornata di bracciante gli ospiti potranno
placare l’arsura della gola con la degustazione di un buon bicchiere di vino
prodotto dall’azienda del cantante. L’experience termina con l’obolo…no, non
quello che Sting versa ai braccianti, quello che i braccianti versano a Sting
dopo avere vissuto questa esperienza terapeutica immersi nella bellezza della
terra toscana: 262 euro a giornata, così almeno specificava The
telegraph, diventa quindi essenziale compiere durante la vendemmia dei
respiri profondi, per arrivare a sera con la mente completamente zen e libera
dal triviale materialismo.
Bisogna ricordare poi che anche l’orto ha il proprio dress code.
Per Carla Gozzi stylist coach essenziale per ramazzare con stile è vestirsi con i toni della terra,
per confondersi con la natura. Ovviamente lo stile deve essere comodo, ma al
tempo stesso molto british: maglie in shetland delle Isole Orkney dai colori
naturali: dal muschio, al castagna, al mostarda, abbinate a pantaloni sportivi
dalle linee semplici, tipo chinos, e ai piedi stivali color cognac. Per i
periodi più rigidi si può aggiungere un blazer di velluto a coste sui toni del
marrone.
In base invece al Gatti
style condito di buon senso i capi immancabili sono due: stivali in gomma e
guanti robusti per proteggersi mani e piedi: tagliarami, coltello da
giardiniere, estirpatore, zappa, vanga, forbici da potatura ecc. non sono
pennelli da trucco e vanno maneggiati con attenzione. Per chi non è avvezzo,
niente paura, può rivolgersi al Personal
trainer dell’orto: una nuova figura professionale promossa dalla Fondazione
Campagna Amica di Coldiretti.
Il personal trainer dell’orto si occupa della formazione
insegnando a coltivare, ad usare correttamente gli attrezzi, fornendo tutte le
informazioni necessarie affinché l’orto
possa prendere vita. Insegna l’approccio ai cicli di produzione naturale: nell’orto rivive il ciclo delle stagioni
che l’agroindustria ha cancellato, la
coltivazione ortiva si ispira infatti ai principi dell’agricoltura
permanente, la permacultura, basata sul rispetto dei ritmi e dei quantitativi
naturali, sui metodi tradizionali di
cura frutto dell’antica esperienza contadina.
Sembra dunque che l’orto urbano ci riporti ad un ritorno al
passato, ad una comunione con la natura, ad una maggiore e vera condivisione
sociale, l’orto urbano sembra essere
portatore solo di vantaggi, ma è proprio così? In realtà quando compaiono gli
orti urbani in una città non è mai un buon segno, così sostiene Gabriele Tagliaventi architetto ed
urbanista, esponente italiano del movimento per il rinascimento urbano,
ordinario di ingegneria civile a Ferrara.
Senza scomodare gli orti
di guerra sorti tra il 1943 ed il 1945 persino in Piazza del Duomo a Milano
e in Piazza Castello a Torino, e quelli statunitensi e britannici chiamati
victory garden, basta pensare a Detroit,
le immagini di quella che era la capitale dell’auto e che ora appare come una
città evaporata sono state splendidamente riprese nel film di Jim Jarmusch “Solo gli amanti sopravvivono”, dove i
due protagonisti immortali si inseguono ed amano tra il Marocco e la desolata
Detroit.
Detroit capitale di un impero fondato sull’acciaio: General
Motors, Chrysler, Packerd Bell, Ford…poi la globalizzazione e la
delocalizzazione per l’abbattimento dei costi del lavoro…la lenta ed
inesorabile emorragia di famiglie della classe operaria che occupavano quasi
80mila miglia quadrate di territorio cittadino in villette ed appartamenti.
Edifici e case in stato di abbandono preda di gangs, sbandati e dove la natura
torna a prendere il sopravvento.
No, non è il film, è quanto successo veramente, la realtà!
Per contrastare il crimine organizzato che trova rifugio nelle
zone disabitate il sindaco decide di demolire gli edifici vuoti da più di sei
mesi, l’equilibrio, l’architettura di Detroit a poco a poco viene annientata,
ora è un insieme di case e grattaceli alternate a grande aree verdi, tutto è
completamente disconnesso. La Detroit
del XXI secolo è spaventosamente simile alla Costantinopoli decadente del XV
secolo….
Le decisioni che vengono prese nelle stanze del potere come
in uno specchio riflesso sono le stesse, solo che sono passati secoli di
distanza le une dalle altre: trasformare gli isolati urbani abbandonati in orti
urbani affinché la popolazione possa cercare di sostenersi…..1452
Costantinopoli cade, 2013 l’amministrazione comunale di Detroit dichiara
bancarotta.
La comparsa dell’orto
urbano indica che la città sta perdendo la sua linfa vitale, gli abitanti, indica l’inizio dello spopolamento
che porta alla perdita dell’equilibrio:
una città sana è una città compatta, circondata da una grande campagna. Una
città con una densità urbana non troppo alta, che porterebbe alla congestione e
non troppo bassa che porterebbe ad una inefficienza dei servizi. Gli orti urbani non sono campagna e
allargano solo lo spazio urbano disgregandolo e rendendo più costosi ed
inefficienti i servizi.
Anche in Italia, complice la crisi le città stanno iniziando
a spopolarsi e sta mancando soprattutto una chiara idea di progettualità e
sviluppo della città: i residenti delle
città si stanno disperdendo nelle zone limitrofe e la loro dispersione provoca
non un ritorno alla vera campagna, bensì l’esplosione della superficie
urbanizzata, del consumo del suolo. Dappertutto occorre equilibrio ed un
disegno preciso: la città deve essere
città, la campagna deve essere vera campagna, non un ibrido.
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