« Chi
gioca ai cavalli è un misto, un cocktail, un frullato de robba, un minorato, un
incosciente, un regazzino, un dritto e un fregnone, un milionario pure se nun
c'ha na lira e uno che nun c'ha na lira pure se è milionario. Un fanatico, un
credulone, un buciardo, un pollo, è uno che passa sopra a tutto e sotto a
tutto, è uno che 'mpiccia, traffica, imbroglia, more, azzarda, spera, rimore e
tutto per poter dire: Ho vinto! E adesso v'ho fregato a tutti e mo' beccate
questa... tié!. Ecco chi è, ecco chi è il giocatore delle corse dei
cavalli. »
(L'arringa di
Mandrake in tribunale – dal
film Febbre da Cavallo
La settimana scorsa ho trascorso
una bellissima serata all’ippodromo di Cesena. La passione per i cavalli e le gare è nata quando ero piccola e tutta la famiglia passava le serate al Savio.
Mio padre
era un amante di quel mondo dove si confondeva l’eleganza delle signore con lo
sguardo attento degli scommettitori. Un mondo aristocratico e snob celebrato
nei romanzi di fine Ottocento inizi Novecento, un mondo di biscazzieri e poveri
diavoli pronti a giocarsi tutto nel film “Febbre da Cavallo”.
Il dietro le quinte di quel mondo
è formato da fantini, drivers, allenatori, allevatori, uomini di scuderia che con
molto lavoro e tanta passione hanno fatto crescere campioni che sono stati in
grado di battere anche i blasonati cavalli francesi, inglesi e americani.
Due nomi storici per l’ippica
italiana, uno per il trotto, Orsi Mangelli ed uno per il galoppo, Tesio.
Il forlivese (e qui sono
orgogliosa di dirlo, Forlì è la mia città) Conte Paolo Orsi Mangelli è
considerato il padre del trotto italiano, il secondo, il torinese Federico
Tesio è stato il più grande allevatore-allenatore di galoppatori. Con loro
l’ippica italiana è cresciuta e molti campioni stranieri che calcano le piste
oggi discendono dai cavalli cresciuti ed allevati da Tesio o Orsi Mangelli.
Oggi quel mondo sta scomparendo,
l’ippica italiana sta per andare a tappeto e a darle il Nok-Oout finale è il Governo
che non paga i crediti ad allevatori e drivers, e se ancora tutto non è
crollato si deve solo alla passione degli operatori che si sono sobbarcati le
spese necessarie per fare andare avanti questo ambiente.
Un ambiente che narra delle
storie, dietro la schedina ormai perduta del Totip non c’erano asettici numeri
da scegliere come nel superenalotto, ma gli scommettitori come mio padre si
divertivano a studiare i cavalli, la loro genealogia, dove erano cresciuti, chi era l’allenatore, chi
era il loro driver, dietro il Totip c’era il mondo dei cavalli e dei loro
uomini e non un algoritmo matematico.
Ora i migliori cavalli stanno per
essere venduti e cambiare bandiera, quelli più sfortunati finiscono al macello,
mentre i nostri drivers e fantini stanno preparando le valigie per andare a Newmarket, Longchamp, Vincennes.
In Francia e in Inghilterra
continuano a ripetere i jockey italiani che se ne sono andati, l’ippica gode di
un’altra considerazione e anche i cavalli: Sir Winston Churchill celebre primo
ministro inglese, amato e riverito dal suo popolo, era un gattaro, riempì
Downing Street di gatti sbandati che raccattava per le strade di Londra, ma
amava molto anche i cavalli; quando era Segretario di Stato della Guerra di Sua
Maestà si impegnò con tutte le sue forze per rimpatriare i cavalli inglesi che
erano dispersi sui campi di battaglia di Francia e Belgio durante il conflitto
mondiale.
Anche da queste piccole cose si
vede il valore di una Nazione.
Qualche speranza per l’ippica
spero che ci sia ancora: mi fa piacere sapere che l’ex olimpionico Antonio
Rossi, ora assessore lombardo, abbia capito il problema e chiesto alle reti
televisive di attuare uno “choc mediatico” di dedicare un piccolo spazio alle
competizioni di galoppo e di trotto, spero quindi che per i miei adorati
cavallini non sia un addio, ma solo un arrivederci, alla prossima apertura del
Savio e….degli altri storici ippodromi italiani.
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